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Crisi dei Sistemi Sanitari: manca una parte delle fondamenta?
 
Guido Giordano
 
 
La crisi dei sistemi sanitari
 
Manovra 2024/Liste d’attesa”, questo il titolo di un articolo del 29 dicembre 2023 da “Il Sole 24 Ore”. Lunghe liste d’attesa per una visita, un esame diagnostico, una procedura terapeutica o un ricovero. I mezzi d’informazione affrontano questo tema con insistenza in Italia, ma anche nel Regno Unito, in Francia, in Germania e in Spagna.
 
I sistemi sanitari di molti paesi sviluppati sono in difficoltà.
 
Efficacia ed efficienza
 
Ansa, 17 novembre 2023: “in Gran Bretagna ok alla prima terapia genica basata sul Crispr”.
 
L’agenzia regolatrice inglese il giorno precedente aveva approvato il trattamento Casgevy per la beta-talassemia e l’anemia falciforme. Questa terapia produce risultati clinici di gran lunga migliori delle precedenti.
 
Il costo per il trattamento di un singolo paziente potrebbe aggirarsi intorno ai due milioni di sterline. Quanti pazienti potranno beneficiarne?
 
L’efficacia misura il successo nel raggiungere il risultato. L’efficienza misura le risorse impiegate per raggiungere il risultato. Potremmo concludere che la terapia Casgevy è molto efficace ma poco efficiente.
 
Efficacia ed efficienza presuppongono la prioritaria definizione del risultato, senza cui perdono entrambe di significato.
 
Che tipo di indicatori sono “le liste d’attesa” o “i tempi di ricovero”? Potrebbero essere indicatori di efficienza solo a patto di definire il “risultato atteso”, altrimenti rischiano di rincorrere un modello falsamente efficiente ed inefficace.
 
Evidence-Based Medicine
 
Nel 1991, 9 anni dopo la laurea, iniziavo la mia carriera di medico ospedaliero in cardiologia. In quell’anno Guyatt pubblicò un articolo [Guyatt G. Evidence-based medicine. Ann Intern Med. 1991; 14 (Supp 2): A-16] che avrebbe sancito un momento epocale: la Medicina è una scienza e come tale deve avvalersi di rigorose metodologie scientifiche e di logiche sperimentali su cui fondare le conoscenze mediche (Evidence-Based). Oggi quel principio è irrinunciabile ma a quell’epoca non lo era affatto. I miei maestri universitari non conoscevano il termine Evidence-Based Medicine (EBM) perché non era ancora stato coniato. La formazione della mia generazione non era basata sull’inderogabile principio dell’EBM; le complesse metodologie scientifiche di cui oggi si avvale l’EBM non facevano parte del percorso formativo. Molti miei colleghi sarebbero diventati docenti universitari per formare le attuali generazioni di medici ed operatori sanitari; essi dovettero riformattare la propria formazione culturale. Non è cosa da poco. Poco meno di 35 anni, non è un tempo lungo per una rivoluzione culturale di questa portata.
 
In realtà le radici della logica EBM risalgono a prima del 1991; lo stesso Guyatt aveva provato ad esprimere il concetto senza successo. Fu l’intuizione di sintetizzare in un’espressione efficace e sintetica, “Evidence-Based Medicine”, un concetto articolato e complesso a decretare il successo. Quell’intuizione produsse una svolta culturale; quel concetto, oggi talmente ovvio, ebbe grande attenzione e seguì un rapido sviluppo.
 
La formulazione di un concetto complesso in una espressione verbale sintetica ed efficace rappresentò un momento decisivo.
 
Seguirono anni di attività medica ospedaliera, di impegno individuale e collettivo nella “traslazione” di quelle conoscenze basate su principi EBM nel mondo reale, nella pratica clinica quotidiana, a vantaggio dei singoli individui. Su quali presupposti scientifici avveniva questo processo? Questa la domanda che cominciavo a pormi.
 
Metodologia scientifica alla base dell’EBM
 
La Evidence-Based Medicine ha richiesto lo sviluppo di sofisticate metodologie scientifiche, basate su metodiche statistiche e probabilistiche applicate su campioni rappresentativi di popolazioni di individui accomunate da determinate caratteristiche cliniche.
 
Medicina Traslazionale
 
Negli ultimi anni affiorava alla mia mente un concetto che si intrecciava con l’esperienza clinica quotidiana e che stentava a prendere forma, con la conseguente difficoltà di tradurlo in espressioni verbali sintetiche ed efficaci. Il principio secondo cui le conoscenze mediche debbano fondarsi su solide prove scientifiche è indiscusso; si tratta di conoscenze “accademiche”, che per la loro complessa articolazione trovano una sintesi nelle “Linee Guida”, articolate in differenti livelli di “raccomandazione” e di “evidenza”.
 
Dal mondo reale, con metodica scientifica sperimentale estrapoliamo conoscenze mediche accademiche. A questa prima fase ne segue una seconda. Trasliamo quelle conoscenze accademiche nel mondo reale, a beneficio dei singoli individui. La prima fase è tipicamente appannaggio della EBM; e la seconda?
 
Con quali modalità le “conoscenze accademiche” vengono traslate nel mondo reale? La mia esperienza quotidiana indicava che le attività cliniche vengono effettivamente organizzate e regolamentate. Ma secondo quali criteri?
 
Cominciava a prendere forma il quesito: se è irrinunciabile il principio per cui l’acquisizione delle conoscenze mediche deve essere suffragata da prove scientifiche (Evidence-Based), non dovrebbe esserlo anche quello per cui le modalità di traslazione di tali conoscenze nel mondo reale, a beneficio del singolo individuo, e le relative soluzioni organizzative e regolatorie debbano essere suffragate da solide evidenze scientifiche?
 
Quali garanzie ha il singolo individuo che la procedura diagnostica o terapeutica a cui viene sottoposto sia il risultato di una validata modalità di traslazione dei principi della EBM nel mondo reale?
 
Negli stessi anni ’90 veniva introdotto il termine “Traslational Medicine”, associato al concetto B2B (Bench to Bedside), cioè “dalle conoscenze accademiche al letto del paziente”. L’espressione corrisponde sostanzialmente al concetto che in modo incerto affiorava alla mia mente.
 
Tuttavia, l’espressione non è efficace quanto “Evidence-Based Medicine”, non è altrettanto sintetica ed efficace nell’esprimere un concetto assai complesso.
 
Eppure, da alcuni anni si registra una crescente attenzione del mondo scientifico, come testimonia il seguente report di PubMed.


L’Esito
 
Ci si affida al Sistema Sanitario affinché una procedura diagnostica o terapeutica porti ad un risultato. Si presuppone che quella procedura costituisca l’efficace applicazione delle conoscenze mediche accademiche a favore del singolo caso clinico.
 
Immaginiamo di investire ingenti risorse per la realizzazione di un’imponente rete di trasporti ferroviari. L’investimento è giustificato solo se quell’infrastruttura produce i risultati attesi in termini di concreta risposta alle esigenze di mobilità della popolazione.
 
Il Sistema Sanitario richiede enormi risorse finanziarie ed ha ragione d’esistere solo in funzione dei risultati che produce in termini di salute della popolazione. Servono indicatori affidabili che rendano conto dell’impegno di tali risorse.
 
Ci sono indicatori di “efficacia” e di “efficienza”. Le liste d’attesa, le disponibilità di posti letto, sono indicatori di efficienza, non di efficacia, e solo a patto che il “risultato atteso” sia stato definito e raggiunto. Il Sistema deve essere efficace, prima ancora che efficiente.
 
Un sistema efficiente ma non efficace non ha ragione d’esistere. Se non produce risultati, qualunque impegno di risorse, anche minino, è solo uno spreco.
 
Gli “esiti” devono essere evidenziabili, monitorizzabili. Servono pertanto indicatori di esito.
 
Se definire “l’esito atteso” di una rete ferroviaria è piuttosto ovvio, ben più complesso è definire l’esito “ragionevolmente atteso” di una prestazione sanitaria, un ambito che risponde ad una logica “probabilistica” più che binaria.
 
Un gruppo di esperti sanitari che collegialmente affronta un caso clinico è consapevole di cosa significhi “esito ragionevolmente atteso” in una determinata circostanza clinica. E tutti gli altri?
 
Un’importante iniziativa istituzionale è il Programma Nazionale Esiti (PNE), che si prefigge di monitorare l’efficacia del Sistema Sanitario. Il Programma è piuttosto articolato ed in progressivo sviluppo. Sorprendentemente suscita scarsa attenzione dai mezzi d’informazione e dall’opinione pubblica e, paradossalmente, è spesso percepito dagli stessi sanitari come una minacciosa compilazione di graduatorie o un’intimidazione medico-legale piuttosto che come la vitale e reale forza propulsiva e motivante.
 
La definizione di “esito” in Sanità è un argomento complesso, articolato, assai delicato, che si presta a pericolosi fraintendimenti; altrettanto delicato e complesso è il tema degli “indicatori” di esito. Tuttavia, non ci sono alternative all’esigenza di valutare gli esiti per determinare efficacia ed efficienza di un Sistema che richiede enormi risorse economiche, professionali e tecnologiche.
 
EuroHeart è un ambizioso progetto della Società Europea di Cardiologia con finalità concettualmente simili.
 
PNE ed EuroHeart sono in linea con gli ambiti della Medicina Traslazionale
 
È probabile che applicazioni di Intelligenza Artificiale offriranno valide risposte al tema della determinazione di” esito ragionevolmente atteso”.
 
Prospettive
 
In ultima analisi, un Sistema Sanitario deve fondarsi su due solidi presupposti concettuali: A) una rigorosa metodologia scientifica a sostegno delle conoscenze “accademiche”, che rendano  “ragionevolmente prevedibili” gli esiti di interventi diagnostici e terapeutici”, pur se in termini probabilistici; B) una rigorosa metodologia scientifica e tecnologica a supporto della traslazione efficace ed efficiente di quelle conoscenze accademiche nel mondo reale, in forma di esiti concreti valutabili e “ragionevolmente” prevedibili nei singoli individui.
 Mentre il primo presupposto è consolidato e continua ad evolversi e progredire, il secondo è ancora in fase embrionale.
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Guido Giordano
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